Un radicale determinismo accomuna i “razzisti biologici” , convinti della “superiorità della razza bianca” ed una parte di coloro che credono di collocarsi sul fronte opposto: l’opposizione a qualsiasi intervento volto a modificare le superficiali variazioni epidermiche e somatico-facciali proprie delle varie etnie.

Variazioni che per millenni, fino ad approfonditi studi di genetisti, si veda la recensione di Giovanni Monastra al libro di Luigi Luca Cavalli-Sforza, “Geni, popoli e lingue” hanno fatto credere all’esistenza di “razze” umane diverse e non ad una unica specie di “homo sapiens”. In realtà tutti gli esseri umani appartengono all'”homo sapiens” e le variazioni del pigmento della pelle e della forma delle palpebre e degli zigomi o la tipologia e consistenza dei capelli sono sì modifiche importanti per la conservazione stessa della specie, ma secondarie, non di tipo razziale. Derivanti da adattamenti al clima ed al tipo di alimentazione per periodi molto lunghi di tempo. Variazioni certamente utili e da preservare per l’adattamento dell’umanità a sempre possibili ed imponenti variazioni climatico-ambientali. Ma, attenzione, le variazioni sono dinamiche e non statiche. Non possiamo restare fermi all’idea del valore della eterogeneità genica di milioni di anni addietro. Che senso ha puntare tutto sulla, sia pure importante, variabilità di geni che comporta la pigmentazione della pelle o la forma delle palpebre? Vi è il concreto rischio di mantenere geni secondari come il colore della pelle e perdere dapprima l’uso delle gambe e poi le gambe stesse, che potrebbero non avere più senso nei viaggi infraplanetari e nei pianeti dove gli esseri umani potranno svolazzare nell’aria priva di gravità, se l’essere umano perde il controllo della tecnologia.

Per i “razzisti biologici” coloro che etichettano “non bianchi” nutrirebbero un perenne complesso di inferiorità nei confronti dei “bianchi”. Complesso di inferiorità che cercherebbero di superare ricorrendo alle “scorciatoie” della chirurgia estetica, delle creme schiarenti, delle lenti colorate, alla tintura chiara dei capelli, ecc per assomigliare il più possibile ai “bianchi”. Scorciatoie che considerano ridicole e pericolose per il ricorso a prodotti tossici. Per non parlare dell’odio viscerale che hanno nei confronti gli incroci tra etnie diverse, chiamati da loro “ibridi” o “miscugli”, in senso spregiativo.

Oggi, nel 2015 non dobbiamo “criminalizzare” le donne africane o afroamericane che desiderano schiarirsi la pelle o lisciarsi i capelli crespi, con discorsi del genere: lo fate perché vi ritenete inferiori alle “bianche”, ed invece è vostro dovere riscoprire l’orgoglio della “negritude” e della Black Consciousness, e non ricorrere più a queste creme sbiancanti.

No! Ogni persona deve essere libera di cambiare le caratteristiche esteriori del proprio corpo, senza per questo subire alcun ricatto moralistico! Le donne africane ed afroamericane devono essere libere di seguire la moda come tutte le donne del mondo. Se quest’anno va di moda lo stile “afro” devono essere libere di assecondare la naturale propensione dei loro capelli, se un domani andrà di moda un altro stile di capelli devono essere libere di farsi rendere i loro capelli più lisci e così via.

Certo è un crimine mettere in commercio sostanze sbiancanti o per la cura dei capelli tossiche. Le industrie cosmetiche più serie devono essere stimolate a creare prodotti sempre più perfezionati, senza sostanze tossiche. Il divieto di vendita delle creme schiarenti non ha ridotto il loro uso, ha reso solo più florido il mercato nero di tali prodotti, reso più difficili i controlli dei contenuti delle sostanze e aumentato l’uso di prodotti tossici.

Ho espresso questo mio pensiero nell’articolo “la globalizzazione facilita l’innata tendenza degli esseri umani alla originaria unità dell’Homo Sapiens”

In tale articolo sostenevo la mia idea di una generale umana tendenza alla riconquista della originaria unità dell’Homo Sapiens. Tendenza che ha trovato nella globalizzazione e nella conseguente maggior mobilità internazionale delle persone un importante sbocco. Aggiungo qui che la globalizzazione e la interconnessione rendono sempre più universali le tendenze del momento della moda e della cosmesi, che hanno in nazioni come l’Italia un centro di riferimento mondiale. A parte regimi totalitari o dove vige il fondamentalismo religioso più radicale ed estremo, è nel diritto di tutte le donne del mondo essere, sentirsi “alla moda” e spendere quello che vogliono per esserlo!

In questo articolo scrivevo che ” Adesso non ha più senso , con i progressi della medicina e dell’industria dell’estetica, continuare ad affermare che, ad esempio, una persona con la pelle scura dovrebbe assolutamente evitare di trasferirsi in Alaska. O criticare le donne asiatiche dall’intervenire con creme o interventi estetici per ritoccare le palpebre, renderle più rotonde come le donne occidentali……O considerare negativamente il boom tra le popolazione africane delle creme schiarenti come fa Antonella Sinopoli in un articolo su Futuro Quotidiano:“Sognando la pelle bianca. Il 50% delle africane usa gli schiarenti”
A mio parere sbaglia l’autrice dell’articolo a scrivere – E qui mi correggo. Potrebbe anche essere vero quello che scrive su Pubblicità e role model, ne contesto il ragionamento successivo negativo. Perchè le donne africane o asiatiche dovrebbero restare fuori dal circuito mondiale della pubblicità, delle tendenze della moda, degli status symbol e via discorrendo? – “Pubblicità, role model, pressione sociale: sono i motivi che stanno alla base di questo fenomeno crescente. Ma sociologi, commentatori, giornalisti e accademici sono concordi che tutto nasce da una sorta di odio (indotto), dalla disistima verso se stessi – come popolo nero –, dalla mancata presa di coscienza di una identità razziale nera. Il problema è quindi legato alla decostruzione e successivamente al riconoscimento della Black Consciousness. Se un giorno il mercato di questi prodotti dovesse crollare sarà solo un buon segno.”

Non è vero che lo fanno per un senso di inferiorità nei confronti delle “bianche”,ma per via della naturale tendenza umana a riconquistare la perduta unità, qui aggiungo anche solo culturale e non necessariamente fisica, della specie.

L’autrice dell’articolo, Antonella Sinopoli, ha letto il mio articolo e non avendo la possibilità di commentarlo sul mio sito poichè ha trovato i commenti chiusi ha pubblicato i suoi commenti sul suo blog, me ne scuso con lei ed  ecco l’articolo:

Quando la diversità non piace

giugno 25, 2015

Nelle relazioni umane non c’è nulla di più bello e arricchente della diversità. Accettare di essere diverso.Piacersi per essere diverso, mettere in mostra questa diversità per farla conoscere, apprezzare, amare.

Essere bianchi è bello. Essere neri è bello. Essere dotati di senso artistico o di capacità manuali, essere gioviali e chiacchieroni o silenziosi e meditabondi. Tutto è bello. Ecco perché imitare, voler imitare, cambiare, voler sembrare altro è così innaturale.

Certo, ognuno può scegliere che gli piace essere biondo anziché bruno o insistere nel suonare il pianoforte quando farebbe meglio a costuire barche a vela… Ma quali sono le motivazioni che ci spingono a voler essere diversi o addirittura qualcos’altro rispetto a chi siamo realmente?

Voler cambiare il colore della pelle, ad esempio… E non parlo di stare al sole ad abbronzarsi. Parlo di voler cambiare il nero con il bianco.

Tempo fa scrissi un articolo sull’abitudine di moltissime donne in Africa a far uso di schiarenti (pericolosi per la pelle) per modificare in modo così radicale e sostanziale il proprio aspetto. E ne davo una ragione di natura sociale e di condizionamento esterno. Ragione che non è piaciuta a qualcuno. Soprattutto mi viene contestata questa parte: Pubblicità, role model, pressione sociale: sono i motivi che stanno alla base di questo fenomeno crescente. Ma sociologi, commentatori, giornalisti e accademici sono concordi che tutto nasce da una sorta di odio (indotto), dalla disistima verso se stessi – come popolo nero –, dalla mancata presa di coscienza di una identità razziale nera. Il problema è quindi legato alla decostruzione e successivamente al riconoscimento della Black Consciousness. Se un giorno il mercato di questi prodotti dovesse crollare sarà solo un buon segno.

Non è vero – dice sicuro l’autore di un articolo dal titolo “La globalizzazione facilita l’innata tendenza degli esseri umani alla originaria unità dell’Homo Sapiens”. Scrive Giovanni Papperini: “non è vero che lo fanno per un senso di inferiorità nei confronti delle ‘bianche’, ma per via della naturale tendenza umana a riconquistare la perduta unità della specie“.

Vorrei tanto sapere se quel “non è vero” ha basi scientifiche e – soprattutto – se l’autore è mai stato in Africa o ha mai intervistato, semplicemente parlato o anche vissuto tra donne che usano le creme schiarenti. Se lo avesse fatto – e soprattutto avessero avuto un po’ di confdenza con lui – allora gli avrebbero detto quello che dicono a me. La maggior parte di quelle donne di homo sapiens e ritorno alle origini non sanno molto e comunque le loro motivazioni non sono quelle. Seppure è vero che le origini, ai tempi dell’homo sapiens, fossero dell’unità e non – anche allora – della diversità, cosa che non dico io ma persone ben più eminenti.

Avrei voluto rispondere all’articolo ma i messaggi sono chiusi. Ci sono però tanti tasti dei social per far condividere un pensiero – e una critica – irrealistiche e comunque non corrispondenti alla mia esperienza reale e ai miei scambi di idee quaggiù, nel continente nero. Che per fortuna rimane tale”.

 

Ma le donne africane o afroamericane saranno pure libere di comprare prodotti di bellezza per la pelle ed i capelli per “stare alla moda” si o no? Il mercato mondiale della cosmesi è enorme, vedi questo studio dell’istituto Mintel pubblicato dalla Associazione Nazionale Imprese Cosmetiche, e ci sarà pure un motivo perché una donna desidera cambiare il colore dei propri capelli, senza per questo motivo sentirsi dire che si tratta di un atteggiamento “innaturale”?

 

Giovanni Papperini