Sanatoria “di fatto” per stranieri irregolari lavoratori autonomi e freelance

 

Fino al 1998 erano inclusi nelle periodiche sanatorie per stranieri irregolarmente presenti sul territorio anche lavoratori autonomi e freelance. Nelle successive sanatorie e “regolarizzazioni” questa possibilità è stata esclusa. E’ stato ritenuta misura sufficiente per sanare eventuali posizioni irregolari il mantenimento di canali regolari di entrata di lavoratori autonomi nell’ambito dei flussi annuali. In realtà si è trattato spesso solo di una crudele complicazione per la regolarizzazione di un lavoratore autonomo, che ha dovuto pagare una salata tangente a qualcuno per farsi passare come colf o badante, regolarizzare la propria posizione ai fini del permesso di soggiorno e poi rinnovare il permesso provvisorio come lavoratore autonomo.

Dal 2012 non sono state più emanate sanatorie o regolarizzazione neppure per i lavoratori subordinati, tuttavia per i lavoratori autonomi e per i freelance vi sono delle possibili sanatorie “di fatto” alternative rispetto ad una sanatoria ufficiale.

In particolare esiste la possibilità di sanare la propria posizione ricorrendo ai “flussi” annuali, con l’onere di uscire temporaneamente dall’Italia per recarsi a richiedere il visto nello stato di origine.

Certo non si tratta ufficialmente di una vera e propria sanatoria, ma non si chiamava forse “sanatoria mascherata” anche il decreto flussi per lavoratori subordinati quando riguardava centinaia di migliaia di persone, molte delle quali già presenti irregolarmente in Italia da anni?

Il decreto flussi per lavoratori non stagionali del 2015 emanato il 14 dicembre 2014 prevede che per le “esigenze di specifici settori produttivi nazionali che richiedono lavoratori autonomi per particolari settori imprenditoriali e professionali” “ l’ingresso in Italia per motivi di lavoro autonomo di 2.400 cittadini stranieri non comunitari residenti all’estero appartenenti alle seguenti categorie :

-imprenditori di società che svolgono attività di interesse per l’economia italiana che effettuano un investimento significativo in Italia, che sostiene o accresce i livelli di reddito;

-liberi professionisti esercenti professioni vigilate, oppure non regolamentate ma rappresentative a livello nazionale e comprese negli elenchi curati dalla Pubblica amministrazione;

-titolari di cariche di amministrazione o di controllo di società, di società non cooperative, espressamente previste dalla normativa vigente in materia di visti d’ingresso;

-artisti di chiara fama internazionale, o di alta qualificazione professionale, ingaggiati da enti pubblici oppure da enti privati;

-cittadini stranieri per la costituzione di imprese “start-up innovative” ai sensi della legge 17 dicembre 2012 n. 221, in presenza dei requisiti previsti dalla stessa legge e titolari di un rapporto di lavoro di natura autonoma con l’impresa.

Gli imprenditori “che svolgono attività di interesse per l’economia italiana che effettuano un investimento significativo in Italia, che sostiene o accresce i livelli di reddito” in teoria potrebbero anche dichiarare di avere i mezzi e la capacità imprenditoriale acquisita all’estero per svolgere attività di commercio al minuto in sede fissa, o commercio all’ingrosso; o commercio su aree pubbliche, o autotrasporto merci c/terzi ) o pony express; o procacciatore d’affari.

In realtà lo Stato ritiene che vi siano già troppi ambulanti stranieri in Italia e troppe frutterie e negozi “etnici” di vicinato gestiti da famiglie di extracomunitari, pertanto ha posto due importanti “paletti”:

-svolgono attività di interesse per l’economia italiana: frase ambigua che privilegia attività particolari, non comuni come può essere quella del commercio ambulante o dei piccoli esercizi commerciali.

-che effettuano un investimento significativo in Italia, che sostiene o accresce i livelli di reddito: in soldoni che creino posti di lavoro per Italiani o, almeno, per stranieri già regolarmente presenti in Italia.

Per i “liberi professionisti esercenti professioni vigilate, oppure non regolamentate ma rappresentative a livello nazionale e comprese negli elenchi curati dalla Pubblica amministrazione” il percorso è molto complesso e necessita di una trattazione a parte, sono da superarsi in particolare complessi meccanismi di riconoscimento di titoli di studio e di qualifiche professionali conseguite all’estero e non sempre equiparabili a quelle in vigore in Italia.

Relativamente ai titolari di cariche di amministrazione o di controllo di società, di società non cooperative, espressamente previste dalla normativa vigente in materia di visti d’ingresso l’ostacolo principale è l’anzianità di costituzione della società di capitali, che deve essere costituita ed operativa da almeno tre anni. Questo per evitare la costituzione ex novo di società allo scopo esclusivo di eludere le leggi sull’immigrazione, per poi cessare l’attività una volta ottenuti i visti d’ingresso.

Relativamente agli artisti di chiara fama internazionale, o di alta qualificazione professionale, ingaggiati da enti pubblici oppure da enti privati, si parla o di RAI o di emittenti di rilevanza nazionale.

Per i cittadini stranieri per la costituzione di imprese “start-up innovative” ai sensi della legge 17 dicembre 2012 n. 221, in presenza dei requisiti previsti dalla stessa legge e titolari di un rapporto di lavoro di natura autonoma con l’impresa rinvio a quanto ho scritto in questo articolo.“Una inedita modalità di semplificazione Start-up innovative: procedura per il visto” 

Anche per colpa di chi “furbescamente” ha fatto passare per anni camerieri o inservienti come “consulenti qualificati” ed ha ottenuto per loro visti d’ingresso come lavoratori autonomi il Ministero degli Esteri dal 2011 ha espressamente escluso dal novero dei visti per lavoro autonomo le fattispecie dei “consulenti”.

E così vere figure qualificate di freelance, consulenti informatici, d’immagine, e di tante altre attività che, in genere sono abituati a prestare la loro consulenza ed attività con contratti di prestazione d’opera autonoma rischiano di vedersi respinta la domanda di visto, anche se hanno conseguito fior di lauree e già dei clienti in Italia sono ben disposti a stipulare con loro un regolare contratto, ben retribuito. Per avere maggiori chance di ottenere il visto dovrebbero superare la fase individualistico-personale della loro attività e ideare un business plan di attività imprenditoriale con possibile creazione di un certo numero di posti di lavoro.

In realtà per loro vi sarebbe un’altra possibilità: la conversione, sempre nell’ambito dei flussi per chi non si sia laureato in Italia, da studio a lavoro autonomo. In tal caso non è prevista una esclusione per i consulenti, restano tuttavia molte incognite sulla effettiva possibilità di conversione del permesso da studio a lavoro autonomo per una miriade di paletti e di documentazione che le varie Direzioni Territoriali del Lavoro impongono per dare il loro parere positivo alla conversione.

Un limitato numero di freelance, di artisti, di scrittori, pittori, ed altri “creativi” potrebbe trovarsi nelle condizioni di poter richiedere in alternativa al visto per lavoro autonomo un visto per “residenza elettiva”, che, al contrario della conversione, prevede comunque il temporaneo ritorno in patria per richiedere il visto d’ingresso.

Mi dispiace non essere stato più preciso nell’indicare le modalità d’ingresso come lavoratori autonomi, ma la normativa al riguardo è molto complessa, e può variare sensibilmente da città a città e da consolato a consolato. Per approfondimenti potete inviarmi una email a: info@studiopapperini.it

Giovanni Papperini

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