L’identità nazionale deve essere dinamica, altrimenti degenera nel razzismo.

L’identità di un popolo può essere intesa come modalità di sviluppo separato dagli altri popoli. Modalità di sviluppo adottata da un determinato gruppo etnico e/o gruppo collegato da comuni radici linguistiche e/o culturali  e/o religiose.

Lo “sviluppo separato”  non ha niente a che fare con la ciofeca tristemente nota storicamente come “apartheid” , che era un falso “sviluppo separato”. In realtà una raffinata presa in giro per conservare intatto il potere di una assoluta minoranza , senza reali prospettive di sviluppo per le componenti non “bianche” della nazione.

Lo “sviluppo separato” vero è insito nella natura umana e non è in contrasto con l’innata tendenza a ricostruire l’originaria unità primordiale della specie umana. Si veda il mio articolo: “La globalizzazione facilita l’innata tendenza degli esseri umani alla originaria unità dell’Homo Sapiens”. Si tratta di una serie di “obiettivi intermedi” resi inevitabili dalle condizioni storico-culturali-ambientali che i nostri progenitori hanno dovuto affrontare nel  corso dei millenni. E’ stato naturale per gli esseri umani rendersi conto che, soprattutto in condizioni ambientali totalmente avverse e con uno stato perenne di guerre con altre popolazioni, un gruppo con caratteristiche etnico-culturali uniformi meglio resisteva alle avversità ambientali ed alle incursioni dei nemici.

Il valore positivo della uniformità etnica è fuori discussione, ma è importante notare che deve trattarsi di una “condizione transeunte”, in perenne evoluzione, anche per la spinta rinnovatrice dell’apporto di altre culture e della convivenza con altri popoli. Così come una lingua viva si evolve nel tempo e accetta ed ingloba prestiti da altre lingue o dialetti senza per questo  snaturarsi, lo stesso l’identità nazionale non potrà che ricevere nuova linfa vitale dall’apporto di altre culture. Questo è particolarmente valido per gli expat, che, pur immergendosi in altre culture, in altre nazioni, mantengono sempre un forte legame con le proprie radici. E’ toccante la frase di uno psicologo finlandese che ha vissuto a lungo anche in Italia:

Scrive Kaj Noschis  in “The Birth of a Nation Identity” nella rivista finlandese “Expatrium” nel 2001:

“ I belive that we expatriates are like Ulysses. We know that we can return to our roots. As long as we recognize our roots, we can find solace in them, both in our minds and in reality. This is something I want to guarantee for both my children and for myself”.

Una identità nazionale assolutamente statica degenera in razzismo e, francamente, può essere accettata nel 2015 solo come mezzo di difesa estrema per gruppi isolati di indigeni nell’Amazzonia o nei deserti dell’Australia.

La dinamica delle identità non deve per forza rivolgersi unicamente al “futuro”, può anche rivolgersi indietro nel tempo. E’ quello che sta avvenendo attualmente in molti linguaggi indoeuropei e non solo: un ritorno alla semplicità iniziale delle radici delle parole. Tendenza favorita dal diffondersi di social come twitter o dalla messaggistica degli sms ed altri similari.

Giovanni Papperini