Dubbi sull’efficacia di misure di pressione europee per far accettare i rimpatri dei “migranti economici”

 

Da indiscrezioni di stampa si ha notizia di un piano UE volto a contenere il flusso dei cd. “migranti economici” dall’Africa. Il piano prevede delle misure di ritorsione nei confronti degli stati africani che creano ostacoli per il rimpatrio di loro concittadini entrati illegalmente nell’Unione Europea. Le misure in questione consistono nella minaccia di sospendere gli aiuti per la cooperazione allo sviluppo e nell’attuare una stretta nel rilascio dei visti d’ingresso.

Personalmente nutro forti dubbi sulla reale efficacia di tali misure di pressione e qui spiego il perché.

Relativamente ai fondi per la cooperazione allo sviluppo sarebbe necessaria una comparazione non puramente aritmetica tra il volume di tali fondi e le rimesse che gli immigrati inviano nei loro paesi di origine per verificare l’effettiva immediata utilità delle risorse per le singole famiglie. Dirette in caso di rimessa, in alcuni casi molto indirette per i fondi della cooperazione. Fondi che in troppe occasioni non danno effettivo ristoro alle popolazioni locali, a causa di insoluti problemi di corruzione ed a causa della mancanza di imprese locali in grado di gestire direttamente i progetti o, almeno, di ricavarne benefici adeguati con l’indotto.

Relativamente alla restrizione sui visti, mi sembra che già adesso sia praticamente impossibile per un Africano ottenere visti Schengen, gli unici di compentenza UE, quindi non si vede l’efficacia di minacciare ulteriori limitazioni, si vuole forse eliminare anche i visti per affari ai pochissimi imprenditori locali che riescono ad ottenerli?

Prima di lanciare minacce sarebbe invece opportuno avviare seri programmi per favorire gli investimenti diretti esteri privati in Africa, connessi a importanti investimenti nell’educazione professionale in loco. Gli investimenti diretti esteri tendono a dare occupazione solo a forza lavoro qualificata. Per una reale qualificazione del personale atto ad introdurlo nelle aziende moderne è necessaria l’introduzione di migrazioni circolari, di trasferimenti temporanei presso aziende in Europa di giovani locali ancora non altamente qualificati per tirocinii mirati. Appaiono pretestuose ed altamente protezionistiche, a questo proposito, alcune prese di posizione sindacali e di alcuni industriali contrarie alla direttiva UE per i trasferimenti infrasocietari, vedi l’articolo di Rita Querzé sulla Corriere della Sera del 23 maggio 2014: “Cavallo di Troia per arrivare lavoratori con meno diritti”
Posizioni che esprimono timori di dumping per il temporaneo accoglimento in imprese europee di distaccati con qualifiche non altissime, come tirocinanti. Non è eticamente corretto chiudere le porte in faccia ai giovani volenterosi che vogliono intraprendere un percorso di carriera duro e senza sconti. Le aziende non sono “buoniste” per loro natura e se una persona di origini subsahariane diventa un manager in un’azienda europea è perchè lo ha meritato veramente.

Giovanni Papperini

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