L’uso di popolazioni “barbare” o di criminali è stata da sempre una politica degli stati in casi di grave pericolo, in particolare in caso di conflitti bellici o di altre gravissime minacce interne o esterne allo stato.
Lo hanno fatto, ad esempio, gli Antichi Romani, quando hanno fatto ricorso ad “ausiliari” barbari per difendersi da barbari più aggressivi e pericolosi. Le sorti del primo conflitto mondiale sono andate a nostro favore non solo per l’eroismo dei “Ragazzi del ’99” sulle rive del Piave, ma anche per merito del nostro spionaggio militare. Un criminale comune italiano, famoso scassinatore di cassaforti, ha sottratto importanti documenti strategici nell’ambasciata austro-ungarica in Svizzera e li ha consegnati al nostro stato maggiore. Vedi il riconoscimento del nostro servizio di intelligence AISI a “Papini: ladro per la Patria”. In Sicilia è ormai assodato che le forze di intervento statunitensi durante l’offensiva in Italia si siano avvalsi di “Cosa Nostra” per facilitare lo sbarco alleato.
Oggi, paradossalmente, le zone dell’Italia del Sud dove il controllo mafioso del territorio, non voluto dallo Stato ma nei fatti, è più capillare sono meno colpite da episodi di micro-criminalità con protagoniste bande di stranieri.
Può la Mafia, in tutti i suoi tentacoli di Cosa Nostra, Camorra, ‘ndràngheta, Sacra Corona Unita, essere una barriera contro azioni terroristiche dell’ISIS nel territorio nazionale o può essere, invece, un loro “cavallo di troia”?
Le cronache hanno dimostrato che la totale mancanza di scrupoli morali da parte dei mafiosi li ha indotti ad entrare in affari con chiunque prospettasse loro guadagni adeguati. Sono entrati in affari con anche con gli avvelenatori, nascondendo nei territori sotto il loro controllo di fatto di rifiuti tossici mortali a lungo andare, vedi la “Terra dei Fuochi” in questo articolo di Linkiesta.
Di fronte ad un emissario dell’ISIS che dovesse chiedere loro un aiuto per comprare sottobanco grandi quantitavi di nitrato d’ammonio, precursore di esplosivi, il mafioso di turno, in un impeto di amor patrio, rinuncerà all’oro macchiato di sangue o lo intascherà anche se può immaginare che quel nitrato non servirà propriamente per usi agricoli?
Anche se il pericolo dell’ISIS incombe alle nostre frontiere, e persino dentro il nostro territorio la situazione comincia a diventare pericolosa, non è interesse dello Stato entrare in trattative con la Mafia per prospettarle un qualche beneficio in termini di amnistia o riduzioni di pena ecc. in cambio del loro pentimento e di una loro collaborazione contro i terroristi. Così come gli insetti nocivi non si combattono trasformandoli in farfalle, ma sterilizzando i maschi per ridurre la procreazione, il mafioso, che resta sempre “nocivo” per la comunità, può essere di una qualche utilità, almeno alla Nazione e non allo Stato formale, nella lotta al terrorismo islamico anche se resta un mafioso “non pentito”, purché non collabori con l’ISIS.
Se continua a muoversi nel mare nero dell’illegalità e della malavita è appetito dai terroristi in cerca di un passaporto falso o di un passaggio sicuro per le armi. Spetta solo al mafioso decidere se continuare a fornire “servizi” al profugo disperato in cerca di un passaporto Schengen o al rapinatore di banche o entrare in affari anche con i tagliagole islamici.
E’ una scelta di psicologia e strategia criminale simile a quella che avvenne nel passato tra i mafiosi che si opponevano ad entrare nel nascente traffico di droga pesante e chi, invece, scalpitava per entrarvi. Alla fine la sete di guadagni ha prevalso quasi dovunque tra i criminali organizzati.
Solo che questa volta i mafiosi non rischiano solo di vedere i loro stessi figli morti per overdose, ma di vederli sgozzare come capre o vederli saltare in aria nelle loro stesse città.

Giovanni Papperini